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CON BENEFICIO D’INVENTANGO

Devo avere preso il vizio durante l’adolescenza, quando aspettavo il settimanale Marcha, per leggere beninteso gli articoli di letteratura, musica, cinema, ma anche per godermi la rubrica “La mar en coche”, zeppa di perle, refusi, granchi di traduttori, opiniabilia e componimenti maldestri, che gli stessi lettori segnalavano al giornale. Le rughe ai fianchi della bocca me le sono procurate dal tanto ridere sulle parole. I libri che raccolgono queste delizie (La foire aux cancres, ¡Qué porquería es el glóbulo!, La réalité dépasse la fiction) saranno gli ultimi dei quali mi disferò. In Todo tango (Bompiani, 2004) ho messo un nutrito capitolo sui scivoloni tàngheri. Quasi sempre indico il nome degli autori solo con le iniziali, eccetto quelli che fanno la differenza, per esempio quello mio, che scrivo con tutte le lettere così un’altra volta imparo. Quando si tratta di traduzioni sballate propongo, dopo la parola “Anziché”, la traduzione letterale o una delle soluzioni migliori. Non per far la “maestrina”, ché sono stata insegnante amatissima e non ho mai temuto la critica. La frase “Il tango è un pensiero triste che si balla” l’ha detta Enrique Santos Discépolo, e non è colpa mia se sempre salta fuori qualcuno che (con aria dottorale) la attribuisce a Borges, Gardel, Sábato, Oscar Wilde, Piazzolla. Mi aspetto che qualcuno la attribuisca a Socrate, tanto per dire. Idem per l’accostamento compulsivo “Tango e bordello”. Io, chissà perché, non ne posso più.


Come ci spiega il maestro Stefi Donisi, l’organizzatore del Tano tango festival, dedicato alla “danza della passione” e che rievoca proprio gli anni in cui proprio da qui, dal porto di Napoli, partivano i bastimenti carichi di immigrati che approdavano sulle coste sudamericane e non conoscendo la lingua, usavano la danza come strumento di comunicazione. [TM News Agenzia Giornalistica Multicanale, Contenuti per i Media, Milano 4 settembre 2011]

Commento – Stefi Donisi non può aver fatto quest’affermazione; è come se dicesse che, quando si è laureato in Ingegneria Civile, essendo troppo afono per discutere l’elaborato con la Commissione di Esami, si è messo a ballare la tarantella.


Il quadro “Les demoiselles d’Avignon” uno dei più importanti lavori di Picasso, mostra cinque prostitute in un bordello di calle Avignon a Barcellona, e può essere considerato come l’inizio del Cubismo… Si racconta che il tango ha le sue origini nei bordelli di Buenos Aires, dove donne di vita si divertivano a guardare gli uomini ballare tra loro. Non ci volle molto a questa nuova musica per diventare il simbolo di Buenos Aires e passare con sorprendente indifferenza dalle case chiuse ai caffè, e poi dalle grandi salle da ballo ai concerti. [Programma di una performance “Les Demoiselles d’Avignon: da un quadro a un tango”, Palazzina Liberty, Milano, luglio 2011]


Il tango è musica, canzone, cultura e condizione dello spirito creato da esiliati, immigrati e sradicati esistenziali e sociali, autoctoni, italiani, ebrei… il suo humus sono i bassifondi e i bordelli della leggendaria Buenos Aires a cavallo fra la fine del Diciannovesimo secolo e l’inizio del Ventesimo, la sua lingua il porteño, gergo esplosivo, aperto alle alterità di minoranza. Cultura bassa e sublime, sublime perché gaglioffamente bassa, violenta e struggente, appassionata e ironica, la cultura tanghera vessata dalla tirannia e dai suoi sbirri, per questa sua ossimorica sintesi accede all’universalità e finisce per coinvolgere anche le classi alte delle società che nel vortice del tango per brevi istanti riescono a dimenticare i vizi della ricchezza per riappropriarsi dalla loro recondita umanità. Il tango è così irreprimibile da superare le barriere del tempo per rigenerarsi generazione dopo generazione. [Moni Ovadia, Concerto Palazzina Liberty, Milano 6 giugno 2011]


Il Teatro Olimpico in collaborazione con l’Ambasciata Argentina in Italia propone una promozione sullo spettacolo “Tango de Burdel, Salón y Calle” il 2, 3, 7 novembre 2010 – L’étoile Eleonora Cassano, il Ballet Argentino e tangueros di fama internazionale, presentati dalla Fundación Julio Bocca. La storia del tango narrata in danza: la sua nascita sul Rio della Plata, il suo sviluppo, il suo declino, ma anche la sua rinascita grazie ad Astor Piazzolla. [Proposta promozionale del Teatro Olimpico di Roma dello spettacolo suddetto, ottobre 2010]
Commento – Caro Astor, visto che tu non sei di bordello, men che meno di salon, e manco per idea di strada, mi vuoi dire dove cavol avresti fatto rinascere ‘sto tango?


Io sono la neretta / quella che il paesano / di notte fonda ti offre / la cima più grande. (Anziché “Io sono la bruna, quella che al paesano la mattina presto offre un mate amaro. La Morocha). Per cantare che mi hai rinchiuso / nel meglio della mia vita… / e se vedessi la materassaia come si arrabbia / quando non ci vede insieme.” (Anziché “Femmina (percanta) che mi hai piantato nel meglio della mia vita… e se vedessi il letto come si arrabbia / non vedendoci più insieme”. Mi noche triste). Le strade e le lune di una città sottosviluppata. (Anziché “Le strade e le lune suburbane”, Las calles y las lunas suburbanas, lo splendido verso di Sur).

Commento: Città sottosviluppata Buenos Aires?) Il tango, il nostro tango, sarà tango recente intorno al 1880, quando gli impagliatori con le loro chitarre cantano piccoli versi. (…) Esce dai luoghi più bassi, dai bordelli, dai lupanari, fino ai bordelli più raffinati con profumi francesi. In quei luoghi che possiamo considerare di trasgressione, che le ragazze di un paese tanto cattolico come l’Argentina non dovevano frequentare. (…) Quell’intreccio dove la donna “facile o leggera” portava un coltello nella giarrettiera, probabilmente per difendersi dalla violenza dell’uomo, va accompagnato pure dall’uso dell’uomo con il pugnale. (…) Il coltello come elemento di castrazione, di sgarro, di ferita, di taglio, di perdita, sembra sorvolare la danza, sia perché ce l’ha la donna che l’uomo. Lei per difendersi da una aggressione che sempre può creare una situazione di violenza arcaica come l’incesto. (…) L’amore e nello stesso tempo il dolore sono due elementi presenti in qualunque paziente, in qualunque essere umano che non sia paziente. (…) Pobre mi madre querida è un classico di un impagliatore chiamato Betinotti: la fantasia edipica di essere tutto per la mamma, che non piange per la mancanza di un compagno, bensì per gli errori del figlio. (…) Questo sarebbe un intento di analisi verso ciò che possiamo analizzare del tango. [G.S.F., Stampato della conferenza su Psicanalisi del Tango, Roma, marzo 2003. Commento: Forse all’origine di tutto sta la traduzione del termine “payador”, che pur somigliante all’italiano “impagliatore” significa invece trovatore, che definisce sia quello medievale, sia quello della nueva trova latinoamericana, cantastorie in questo caso]


Lei, a sua volta tutta vestita di nero, sostiene il corpo dell’uomo e nel frattempo, con la gamba destra fasciata in una calza a rete, avvinghia quella dell’uomo con la sua scarpa. Naturalmente non è soltanto questione di erotismo. (…) Secondo Ernesto Sábato, è “un sentimento triste che si balla”. [F.M. Balliamo un tango con tanta nostalgia, Repubblica 19 luglio 2002]


Alguien chaira en los rincones el rigor de la guadaña: “Qualcuno blatera negli angoli sulla dura falce”. (Anziché: “Qualcuno sta arrotando nell’ombra la tagliente falce”). Te acoplaste a un mishé: “A un vecchiaccio ti sei ammucchiata”. (Anziché: “Sei andata con uno che ti mantiene”). Donde ella me batió que me quería: “Dove lei mi ha spifferato che mi amava”. (Anziché: “Dove lei mi disse di volermi bene”). Y al campanearlo me da pena: “E spiarlo mi dà pena”. (Anziché: “E guardarlo mi fa pena”). Campaneando un cacho ‘e sol: “Cercando di spiare uno spicchio di sole”. (Anziché: “Contemplando un tozzo di sole”). Mi rancho es una ruina: “Il mio giro è una rovina”. (Anziché: “La mia capanna è una rovina”). Piano, estera y velador: “Un pianoforte, un tappeto e un candelabro”. (Anziché: “Pianoforte, stuoia e abat-jour”). Dos cuartos de cogote: “Frolla per due spanne”. (Anziché: dos cuartas, “Due spanne di collo”). Le quité el pan a la vieja, me hice ruin y pechador: “Ho tolto il pane a chi mi dava tenerezza, sono stato vile e ho mendicato”. (Anziché: “Ho tolto il pane alla mia vecchia, sono diventato abbietto e scroccone”). Buscando ese mango que te haga morfar: “Cercando il baiocco che ti faccia sbranare”. (Anziché: “Cercando quel soldo che ti faccia mangiare”). Mientras que una pebeta espera coqueta: “Mentre una pupattola aspetta cocotte”. (Anziché: “Mentre una ragazza aspetta graziosa”). Cuna de tauras y cantores: “Culla di azzardati ed elegantoni”. (Anziché: “Culla di valorosi e di cantanti”). Era la papusa del Barrio Latino que supo a los puntos del verso inspirar: “Era il babà del Quartiere Latino che seppe ispirare i tizi dei versi”. (Anziché: “Era la più bella del Quartiere Latino, che seppe ispirare noti poeti”). Con las chatas entrando al corralón: “Con i carri che entrano in deposito”. (Anziché: “Con le chiatte che si ricoverano in darsena”). Desde el pescante del carro: “Da sopra il carro tango”. (Anziché: “Dalla cassetta del carro”). Seguirás orillando nuestra vida: “Tu continuerai a rifinire la nostra vita”. (Anziché: “Tu continuerai a costeggiare la nostra vita”). [Tango, a cura di Paolo Collo e Ernesto Franco, Einaudi, 2002]


È nei bordelli delle periferie, dove tanti emigranti sradicati cercavano di dimenticare con le ragazze di vita i loro Paesi lontani, che il tango assume le sue classiche figurazioni erotiche e allude esplicitamente all’atto sessuale. Un ballo fatto di corpi che lottano, con l’uomo che costringe la donna ai suoi movimenti ma che poi, nel corso del ballo, viene come avvolto nelle sue spire. Insomma, scandaloso, tanto da meritarsi una scomunica papale e –ancora agli inizi del ‘900- da essere ballato in pubblico solo da coppie di uomini: le donne non volevano compromettersi con un ballo per puttane. [C.V. in Donna, Repubblica, 19 marzo 2002]


“Un pensiero triste che si balla”. La definizione attribuita ad Astor Piazzolla è un’epigrafe perfetta del tango (…) Bandoneon (e/o fisarmonica) sono la ‘voce’ per antonomasia del tango, e quindi di Piazzolla (…) Nel 1954 Piazzolla vinse un concorso con relativa borsa di studio che gli consentì di andare a Parigi per studiare con Nadia Boulanger. Bastarono pochi mesi per far esplodere la vitalità musicale del non più giovane artista argentino. [A.F. sul dépliant del Cd 2001 del Concerto di Piazzolla e il suo Quintetto a Lugano nel 1983. Commento: Nato nel 1921, Piazzolla all’epoca aveva 33 anni]


Il sotterraneo sulfureo temperamento di Piazzolla mette in luce rivoli di mercurio sonoro. Ma sono le extrasistoli del bandoneon, le note alte trattenute al filo dello spasimo, che poi scivolano a bruciacchiare i bassi altrui, a coinvolgerci nell’ascolto di Piazzolla; per non ripetere della sua sapienza nel trasformare la materia erotica del tango in accecanti strutture sonore. [Enzo Siciliano, Venerdì di Repubblica, 6 aprile 2001]


Al cimitero monumentale della Chacarita ogni giorno decine di visitatori depongono mazzi di fiori sulla tomba del tango. Il tango giace in buona compagnia. Poco più in là, infatti, riposa in pace, anche se con le mani amputate dai suoi assassini, l’ex presidente Juan Domingo Perón accanto alla moglie, quell’attrice biondo tinta, Evita Duarte, che diventò un mito ancora più duraturo del consorte. Sulla tomba del tango c’è la foto di un uomo con molta brillantina nei capelli e una sigaretta tra le mani, anche se tutti sanno che non fumava, ma la sigaretta faceva tanto guappo di Buenos Aires e quindi se l’infilava accesa tra indice e dito medio. (…) Carlos Gardel fu il migliore interprete di “quel pensiero triste che si balla” come lo definì Jorge Luis Borges. (…) Ma il tango è un’altra cosa, non è la ridicolizzazione di un’immagine superficiale, è un modo di essere argentino, una sfumatura romantica della tristezza che si esprime attraverso una danza. [C.P. Permette un tango, in I Viaggi di Repubblica, 8 febbraio 2001. Commento: Si tratta della tomba di Gardel. Juan Domingo Perón è morto a 78 anni di malattia. Assassini non ci furono, e nemmeno amputazioni di mani. Forse l’articolista confonde col Che Guevara. In compenso sembra preparato in materia di tinture e brillantine]


Il tango è un mostro a due teste, una bestia a quattro zampe languida o vivace che vive per la durata di una canzone e muore uccisa dall’ultima nota. [A.D.O. El Tangauta, settembre 1999]


Borges definiva il tango “un sentimento triste che si balla”, di certo il tango è un genere musicale che rappresenta il cuore e il temperamento della nazione argentina (…) Mostra per illustrare al pubblico del Festival il sensuale mondo del Tango. La danza argentina della seduzione per eccellenza, la celebrazione senza confronti del corteggiamento, della lotta, della sfida e dell’abbandono. [Dépliant illustrativo della Mostra promossa dall’APCLAI, Festival Latinoamericando, luglio 1999]


Gato redondo de azotea, barrilete celeste, copetón y compadre: “Gatto rotondo di terrazza, barilotto celeste, ciuffo e compare”. (Anziché “Tondo gatto sui tetti, aquilone celeste, agghindato e fanfarone”). Soplás porque te da la gana, porque sos así, qué vachaché: “Soffi perché ti va di soffiare, perché sei così, te sei te”. (Qué vachaché è il titolo di un tango di Discépolo, vuol dire “Che ci vuoi fare”). [Julio Cortázar, Le ragioni della collera, Viento de esquina, traduzione di Gianni Toti, Fahrenheit 451, Roma, 1995]


L’indirizzo del postribolo più famoso di tutta la storia del tango compare nella prima strofa di A media luz: “Corrientes, 348, secondo piano, ascensore.” [Euros, maggio-agosto 1993. Commento: A media luz è nato a Montevideo, nel palacio (diciamo pure la reggia) della famiglia Wilson, e fu cantato da Lucy Clory in due teatri della colonia spagnola della stessa città. Carlos César Lenzi, autore del testo, era un diplomatico uruguayano trentenne, commediografo, vip dei transatlantici e dell’ambiente colto parigino, come pure Edgardo Donato, il musicista. Niente di strano che, o l’uno o l’altro, fosse proprietario di un pied-à-terre nella strada principale di Buenos Aires: una garçonnière, un appartamentino arredato con gusto, a firma di Maple come dice il testo. È escluso che, guadagnando tanto a fare l’intellettuale e l’artista, abbiano pensato di investire in un postribolo, per di più sprovvisto di una grande sala d’attesa dove i clienti potessero stiparsi per ballare il tango]


Pablo Neruda, cileno, non può non essere uno dei migliori parolieri del tango: canta l’amore, la voglia di vivere, la sensualità della natura, l’impegno sociale. (Commento: Granchio madornale poiché nell’originale c’era scritto “Non si saprebbe far collimare col tango una traiettoria come quella di Neruda, uomo e poeta: vi è troppa voglia di vivere, troppa meraviglia sensuale di fronte alla natura, e un impegno politico che non ha mai conosciuto rinunce”). [P.S., La letteratura del tango in alcuni scrittori ispanoamericani, Centro per lo studio delle Letterature e delle Culture delle aree emergenti, Sezione Iberica e Latinoamericana, Università degli Studi di Milano, 1993. Commento: Tranne il paragrafo di cui sopra, tutto il resto è stato ricopiato dal capitolo Il tango nella letteratura pp 192 a 224 del libro di Meri Lao “Voglia di tango”, SugarCo, 1986]


Si ripercorrono le strade di Buenos Aires e di Parigi, dove il tango diventa arte e letteratura, fino ad arrivare alle note di Caminito, tenero quartiere dalle case di tutti i colori, perché le prostitute venivano pagate anche con un barattolo di vernice, e ogni nave aveva un colore diverso. I poeti puerteños (sic) trasformati in inventori di struggenti versi e sensuali passi di danza. Il Tango ha convinto il raffinato Borges a scrivere più di un testo per Gardel. [Marcella S. Il Messaggero, 12 novembre 1992]


Hipólito Yrigoyen, l’uomo che avevano spregiativamente soprannominato El Peludo (l’Ubriacone) era un trascinatore di masse, un leader autenticamente popolare. (Anziché: per il suo carattere chiuso, coriaceo, l’avevano soprannominato El Peludo L’Armadillo).
Il tango di Arolas Derecho viejo: “Vecchio arzillo”. (Anziché “Forza, Legge” perché dedicato ai balli della Facoltà di Legge, Derecho).
Il tango di Vicente Greco El flete: “Il noleggio”. (Anziché “Il cavallo”).
Quedémonos aquí: “Bruciamoci qui”. (Anziché “Rimaniamo qui”).
Hoy que Dios me deja de soñar: “Oggi che Dio mi lascia sognare”. (Anziché “Oggi che Dio smette di sognarmi”).
Lastima, bandoneón: “Peccato bandoneón”. (Anziché “Ferisci, bandoneón”: ha confuso lastima, voce del verbo lastimar, con lástima).
A tu viejo millonario lo voy a ver al final cuidando coches a nafta: “Che tuo padre il milionario lo voglio vedere alla fine facendo da guardiano ai cocchi a benzina”. (Anziché “finirà col fare il posteggiatore di automobili”).
Largar esta manga de patos: “lasciare questa manica di anatroccoli”. (Anziché “mollare questi qua senza il becco di un quattrino”).
[Horacio Salas, Il Tango, Prefazione di Ernesto Sábato, Garzanti Editore, 1992. Traduzione C.M.
Commento: L’articolo di Sábato esibito come prefazione era stato pubblicato nel 1963 col titolo Tango, discusión y clave]


Nata alla fine del secolo scorso come pretesto per la danza nei postriboli di Buenos Aires e di Montevideo, questa composizione musicale è diventata via via, grazie alle parole che l’hanno fatta diventare tango canción, il luogo metaforico di condensazione dei miti urbani. (…) Il bandoneón conferisce alla musica quella sua aria di singhiozzo. (…) Esibendosi in luoghi e situazioni sempre proibite o comunque di trasgressione: dapprima il postribolo, dove la donna non ha niente da perdere in quanto a reputazione e balla in abbraccio totale con il suo compagno occasionale, o l’accademia, dove gli uomini vanno non certamente ad imparare qualcosa, come suggerirebbe il vocabolo, ma a pagare una moneta per ogni tango ballato con donne offertegli dal gestore del locale. (…) Era sorta tra gli uomini l’abitudine di ballare fra loro negli angoli delle strade. Nessuna donna si azzardava allora ad esibirsi in simile atteggiamento per strada, e i compadritos di quartiere si lanciavano nel ballo in una continua gara di bravura. [Rosalba Campra e Enrique Cámara, Quaderni dell’Istituto di Lingue Straniere, Università di Macerata, 1988. Commento: Gli autori, troppo giovani per avere vissuto in prima persona i fatti narrati, dovrebbero invece sapere per esperienza che le donne e gli uomini, salvo rare occasioni di carnevale, per strada non ballano nemmeno il valzer né la lambada]


Nel ballo simulano gli accoppiamenti più spinti, cantando in lunfardo la loro voglia di sesso, che è la voglia assatanata dei loro padri. [Giornale di Sicilia, 1 febbraio 1987]

Meri Lao traccia un quadro affascinante delle trasformazioni sociali e politiche dei popoli latinoamericani che dai testi del tango traspaiono. Ai lettori il compito di associare il tutto a echi musicali (ieri, un barlume di postriboli e teppaglia; oggi, faconde sequenze di sesso): perché il tango, da rito qual è, si officia con la musica. [Meri Lao, Voglia di tango, SugarCo 1986, IV di copertina, pagina del libro a cura della redazione editoriale; ma anche nella I di copertina, stampata senza consultare la autrice, la grafica ha commesso l’errore di invertire la foto dei ballerini, cosicché lui abbraccia la partner con la mano sinistra]


Forse Fresedo è stato l’unico che ha saputo mantenersi all’avanguardia ed evolversi insieme allo sviluppo del tango. Coccolato dall’oligarchia negli anni Venti, nei Trenta ha continuato ad avere successo, che diventò di massa nei Quaranta, quando riuscì ad aggiornarsi. (…) La donna sessuata (cioè chiunque non sia la madre o la sorella, perpetuamente vergini nella fantasia del personaggio) racchiude sempre la possibilità dell’inganno, anzi, lo incarna. Il criterio, di remota origine, giacché risale agli stessi Padri della Chiesa (dal I al IV secolo d.C.) nasconde un trasparente atteggiamento omosessuale: si ammira un altro uomo (il padre sostituto), si ama solo la donna priva di attività genitale e si fugge via dalla donna sessuata perché la si considera astrattamente uno strumento del male. Perciò il buon amico consiglia: “Non ti lasciar convincere, perché lei è donna, e quando nacque fece dell’inganno un suo sentimento. Mente nel piangere, mente nel ridere, mente nei baci e nell’amore (Non ti ingannare, cuore). [Horacio Salas, El tango, Planeta Argentina, 1984]