Scena III, seconda apparizione di Marianna, Minuettatrice appassionata
MARIANNA (riemergendo da dietro la cortina fumogena, sempre composta) – Rieccomi qui, cari miei posteri, in diretta dall’eternità! (Mentre parla, compie piccoli passi in sei tempi, inchini sobri, contenuti. Il suo portamento mette in mostra il décolté. Porge la mano destra all’inesistente partner descrivendo una S sul pavimento, dopodiché gli porge la mano sinistra. È chiaramente impegnata nell’esecuzione di un Minuetto).
GIORNALISTA 3 – Marianna Mozart, se non andiamo errati, vuole rivendicare la paternità delle musiche di suo fratello?
MARIANNA – Lasciamo stare la paternità e la maternità, caro postero di un televisivo. Io voglio rivendicare i “miei” diritti a realizzare la “mia” vera vocazione. Tenga presente che sono nata un 30 luglio (1751). Sono dunque del segno del Leone, segno dei condottieri, dei capi, degli chef. Tutta la vita ho sognato di diventare uno chef. Ma per colpa di mio fratello non ho potuto.
GIORNALISTA 3 – Ah…! Ora abbiamo capito: Marianna Mozart sognava di dirigere l’orchestra!
MARIANNA – Chef d’orchestra, io? Fossi matta! Io volevo diventare un’ultra-chef teorico-pratica di cucina. Anzi, voglio. Dopo il bicentenario di mio fratello, posso considerarmi finalmente libera dalle catene della musica, caro postero di un televisivo. E ho un infinito panorama davanti a me.
GIORNALISTA 4 – E lei, signora Emme Emme, sostiene che per colpa del suo famoso fratello…
MARIANNA – Certo! Prima mio padre, poi mio fratello, mi hanno invaso tutto con quell’infra-attività che è la musica. È chiaro come una meringa che, se non esistesse la musica, continueremmo a vivere lo stesso. Ma se non mangiassimo, moriremmo. Vuol mettere, postero di un giovane, la differenza che c’è tra una pur buona musica e un pasto da cordon-bleu? La musica entra da un orecchio ed esce dall’altro; il cibo entra dalla bocca e ci mette le ore prima di uscire, del tutto irriconoscibile… Perché il cibo è assolutamente endo, intra, trans, e si trasforma in pelle, ossa, tessuti, carne…!
GIORNALISTA 4 – Capiamo il suo entusiasmo, signora Emme Emme, ma vorremmo che lei ci spiegasse come cominciò lo scambio musicale -diciamo così- tra lei e suo fratello.
MARIANNA – Tutto cominciò quando mio fratello era un bimbetto di sei mesi e lo mettevamo sul vasetto a fare i suoi bisognini. Mamma voleva che lo tenessi buono. “Su, Nannerl, cantagli!”, “Dai, Nannerl, tienigli le manine e cantagli!”. E io passavo le ore a improvvisare per lui, con la mia voce di soprano leggero, delle bagatelle del genere (sempre dedita alle figure del Minuetto, scandisce con indifferenza le parole della cantilena):
Se il bambino fa la cacca
lo si vede dalla chiappa
che sta sotto la casacca.
Se il bambino fa la cacca
come premio avrà la pappa
fatta con latte di vacca
e segnata da una Kappa.
GIORNALISTA 4 (agli altri) – Non capisco un’acca.
GIORNALISTA 3 – Kappa significa Köchel, il nome di chi ha catalogato l’opera mozartiana…! Bisogna informarsi quando si intende fare un programma importante come questo.
MARIANNA – Ogni Kappa rappresentava il premio della cacca. Mia madre controllava la cacca. Mio padre controllava se gli avevo composto l’opera uno, due, tre, quattro… Non la smettevano di colpevolizzarmi: “Nannerl, che sorella sei?” E io, che avevo cinque anni e mezzo più di lui, che l’avrei voluto crescere come un geniale gourmet, con pappe pensate apposta per lui -cioè piatti nazionali europei trascritti, facilitati e personalizzati- ho passato la vita a imbottirlo di musica…! Ormai ci aveva preso il vizio! (Intenta in un dorso a dorso di ballo).
GIORNALISTA 1 – Questo che lei racconta, signora Marianna, è una prova di ciò che ho letto da qualche parte, vale a dire che… l’andare di corpo… non solo eccitava la fantasia di suo fratello, ma gli procurava una sorta di soddisfazione animale. C’è poi la nota coprolalia…
MARIANNA (un ultimo inchino indica la fine del Minuetto; torna, accompagnata dall’invisibile partner, al punto di partenza, dietro la tastiera. Accaldata dal ballo, prende il ventaglio) – Ma come la fanno lunga questi posteri con la coprolalia! Chi non ha mai riso nell’udire o nel pronunciare parole come “cacca” e “culo”? Perché lei, signorina mia postera, preferisce parlare di “materie defecabili” e di “fondi schiena”? Eppoi, chi deve ritenersi più soddisfatto, chi non è riuscito a farla o chi l’ha fatta…? Noi della famiglia Mozart siamo sempre stati giusti in queste cose. Anche mia madre si divertiva a parlare, a scrivere, e anche a mangiare condito. Sapete come avevamo intitolato, tutti d’accordo, i cànoni che gli editori Breitkopf e Haertel hanno ribatezzato “Nichts labt mich mehr” (Nulla più mi conforta) e “Lasst froh uns sein” (Stiamocene allegri)? (Grasse risate). Sentite bene: “Leck mir den Arsch recht shon sauber” (Leccami il culo) e “Leck mich im Arsch” (Vaffanculo)…!
Una potente perturbazione fonico-luminosa sulle parolacce e le risate di Marianna produce la scomparsa della stessa.