SALVIAMO LE SIRENE
di Stefania Rossini
31 ottobre 2008
Un’immagine dal film ‘Aquamarine’
Sexy però asessuate. Letali eppure benevole. Mute ma piene di promesse.
A Capri si discetta sulle seduttrici del mito. Oggi oscurate da angeli e veline.
Creature ammalianti e rovinose, incantatrici e distruttive, simboli ineguagliati di eros e thanatos, le sirene sono ancora tra noi. Non sugli scogli di un’isola mediterranea ad attirare i naviganti, non nei mari del Nord a struggersi di amore umano, ma qui, nel cinema, nella letteratura, nella tv e nei convegni che indagano la loro natura ambigua. Lo testimoniano serial televisivi animati da fanciulle con coda di pesce, filmini con vamp ittiche e soprattutto una fioritura saggistica intorno al loro mito che colpisce per quantità e qualità. Negli ultimi due anni sono usciti studi eruditissimi di Loredana Mancini (‘Il rovinoso incanto’), di Elisabetta Moro (‘La santa e la sirena’) di Jacqueline Risset (‘Il silenzio delle sirene’), di Maurizio Bettini e Luigi Spina (‘Il mito delle sirene’), mentre continuano le ristampe dei libri della sirenologa per eccellenza, la scrittrice latinoamericana Meri Lao.
Non si nascondono le nuove sirene del desiderio ingannevole, anzi si esibiscono oltre misura quasi che l’incanto non sia più nell’attirare le vittime a sé, ma nel bearsi della propria esibizione. E proprio da Capri, l’isola dove le dispose Omero, rilanciano il loro dominio sull’immaginario umano con un convegno che si svolge in questi giorni, ‘Le sirene: Partenope e le altre’, organizzato da Raffaele Aragona, fondatore e animatore della versione italiana dell’Oulipo (Ouvroir del Littérature potentielle) che fu di Raymond Queneau. Come ne usciranno questi ibridi marini il cui fascino ha superato i millenni? Si piegheranno alle idee degli scrittori, filosofi, psicoanalisti, politologi presenti a Capri? Già, anche politologi, perché è nel discorso pubblico che il potere seduttivo delle nuove sirene rischia di portare a naufragi rovinosi.
Per cominciare, la loro potenzialità sessuale è messa in discussione dalla psicoanalista Simona Argentieri: “Non sono vamp ma vergini, peraltro palesemente prive di organi sessuali. Il loro appeal è regressivo e narcisistico, non è rivolto al piacere dei sensi ma a quello della quiete. La verità è che le sirene rappresentano un desiderio autoreferente, che va verso lo stato indifferenziato e l’oblio. Per di più l’uomo contemporaneo può benissimo fare a meno di loro perché si riflette, si ammira e si distrugge tutto da solo”.
Una demolizione che queste maliarde dei mari certo non si aspettavano, ma l’Argentieri non è la sola a capovolgerne la fama. Il filologo Maurizio Bettini, che le ha indagate tra mito e narrativa, aggiunge: “La loro seduzione è tutta nel canto, ma di quel canto non si è mai saputo il contenuto. Si tratta di una voce, un suono dove ognuno trova ciò che vuole per appagare il proprio narcisismo. Le sirene non comunicano niente, fanno semplicemente desiderare ciò che non si sapeva di desiderare. Esattamente come oggi fa la pubblicità, mentre Ulisse avanza nell’ipermercato con le mani legate al carrello”.
Povere donne pesce, spogliate persino della fama di allumeuses, evocatrici di piaceri straordinari che volutamente non soddisfano. Anche il cinema le ha banalizzate: dalla ginnica Esther Williams per decine di film sempre giuliva e sguazzante alla più recente e algida Cher, dai cartoni di Disney alle bamboccione bionde di ‘Una sirena a Manhattan’ con relativi sequel come ‘Aquamarine’. Più realisticamente la tv le ha squamate, imbellettate e le ha chiamate veline. E pensare che gli uomini le hanno temute per secoli, evocate nei cantici, avvistate nei momenti di debolezza (come capitò a Cristoforo Colombo e a Olaf di Norvegia), e anche offerte in pasto ai vincitori , come racconta Curzio Malaparte ne ‘La pelle’, quando in un pranzo in onore degli ufficiali americani a Napoli viene messa in tavola una sirena che ha le fattezze orripilanti di una bambina bollita (nella realtà i sireni sono tozzi mammiferi acquatici con mammelle evidenti sul torace).
Niente più sesso, insomma, per queste mitologiche e decadute femmine fatali ma, in compenso, un posto d’onore nel grande teatro dove il richiamo della pura seduzione fa ancora correre rischi mortali: la politica Pagina 2 di 2
. È la riflessione che propone al convegno di Capri Aldo Masullo, decano della filosofia partenopea: “Siamo arrivati al culmine di quel processo di disincantamento che Max Weber aveva individuato quasi un secolo fa. Ora il disincanto è compiuto e in un mondo che dà valore soltanto al denaro, anzi a chi è capace di accumulare denaro, la seduzione più forte è nella promessa di beni materiali. Nel populismo che si è affermato proliferano le sirene da trivio ed è difficile bloccare la loro forza attrattiva, anche perché tutte le altre sirene hanno perso la voce. Dovremo deciderci a ucciderle, metaforicamente s’intende, o cadremo preda di animali ancora più strani”.
Per resistere al nuovo canto non bastano però i buoni propositi. Ci vuole qualcosa di più. Armando Massarenti, studioso di bioetica, propone ai convegnisti di tornare al metodo di Ulisse imparando l’arte di legarsi le mani: “Per agire correttamente non sono sufficienti la razionalità e la forza di volontà, ci vogliono vincoli astuti che prevedano le nostre stesse fragilità. Populismo significa accontentare gli istinti più bassi e sia gli individui che lo Stato devono ancorarsi in tempo a comportamenti virtuosi. L’esempio più convincente è quello del debito pubblico: se non ci fossimo dati il vincolo dell’Europa, oggi saremmo fortemente tentati di aumentarlo. E cederemmo. Teniamoci quindi le sirene, ma approfittiamo dei momenti razionali per darci regole che ci salvino dalla loro lusinghe”.
Ma c’è anche chi si arrende all’inevitabile egemonia delle sirene politiche. “In tutto il mondo”, dice Marcello Veneziani,”l’appeal del leader ha sostituito il richiamo ideologico. Combatterlo è inutile perché, come scriveva Chesterton, quando non ci sono più i credenti, arrivano i creduloni. E poi non vedo rischi mortali: a questo punto bisogna soltanto scegliere tra le sirene della rive gauche e quelle della rive droite. Si tratta di ‘barcamenarsi’ nel vero senso della parola”.
Equamente lottizzate anche le sirene della politica, a difenderne l’immagine di voluttuose e funebri femmine, resta Meri Lao, infaticabile studiosa del tema. Le ha inseguite nella notte dei miti e riportate a nuova vita in numerosi libri, tra cui il curioso ‘Le sirene da Omero ai pompieri’. Con lei le sirene viaggiano su e giù nella letteratura, ricordano di essere state donne-uccello, pennute come le arpie dalla vita in giù, di essere diventate definitivamente donne pesce solo nel secondo secolo dopo Cristo, acquistando carnalità e lasciando tutta la spiritualità ad altri ibridi alati privi di sesso, gli angeli, il cui canto sarà d’allora in poi l’unico a meritare l’appellativo di divino.
Intanto le sirene avevano fondato città come Napoli o Varsavia, avevano conquistato i poeti e imposto il piacere dell’udito, fino a renderlo insopportabile. Per questo Platone avrebbe paragonato la musica delle sirene all’eloquio di Socrate, dal quale occorreva sottrarsi per non invecchiare dietro a tanta attrattiva. E proprio richiamando Socrate, Meri Lao può proporre una sua suggestiva interpretazione delle sirene omeriche. Dagli scogli di Capri le sirene tentavano Ulisse e i suoi marinai non per ucciderli, ma per salvarli. Quei naviganti che tornavano dal genocidio dei troiani, avevano bisogno di tuffarsi nelle profondità del mare per ritrovare la propria perduta umanità. Se quel canto avesse avuto parole, queste sarebbero state: ‘Conosci te stesso’.
31 ottobre 2008